Il Catalogo Generale di Fabio Mauri sarà prossimamente accessibile su questo sito.
Curato da Carolyn Christov-Bakargiev, esperta dell'opera dell'artista e Presidente del nostro Comitato Scientifico, il Catalogo Generale si compone delle immagini e schede di oltre 3600 opere ed è accompagnato, oltre che dal saggio introduttivo del curatore del volume, anche da nuovi saggi dei componenti del nostro Comitato Scientifico – Laura Cherubini, Francesca Alfano Miglietti e Andrea Viliani, nonché da un'intervista inedita di Hans Ulrich Obrist e da testimonianze di altri autori.
In maniera sperimentale, il Catalogo Generale apparirà prima in versione digitale e successivamente in forma cartacea per i tipi della casa editrice Hatje Cantz, Berlino, e di Società Editrice Allemandi, Torino.

Affinché si possa completare la ricerca, invitiamo tutti coloro che non l’abbiano già fatto a segnalare al più presto le loro opere all’indirizzo info@fabiomauri.com.


Arte come filosofia. Ricordo di Fabio Mauri

Giacomo Marramao

Lascio da parte le molte cose che ho detto e scritto – su Fabio, per Fabio – nel corso degli anni 1 , per ripercorrere con Fabio, in questa sua presenza assente, alcuni frammenti di memoria condivisa: schegge che schizzano fuori dal continuum ininterrotto di un’amicizia intensa, durata un quarto di secolo all’insegna di quella nobile umiltà dell’intesa e dell’ascolto reciproco che solo l’idea di un rapporto improntato all’assioma dell’homo homini deus rende possibile.

Sin dal primo incontro, mi ha colpito in Fabio l’intensità dello sguardo. Uno sguardo-laser attento al dettaglio significativo: nella ferma convinzione – avallata da un celebre motto di Aby Warburg – che «Dio è nel particolare». E che solo il particolare detiene in sé la dynamis, la misteriosa potenza di mettere in movimento un sistema di segni. Quel sistema che per Fabio coincide con la sottile trama di cui è intessuto il Grande Codice del Mondo: il familiare ed enigmatico intreccio di relazioni in cui ci accade di vivere.

Di qui il suo persistente rimando, talora esplicito talora sottotraccia, alla Clavis Universalis di Umberto Eco: il fuori-testo non esiste. E anche i corpi, quantunque assunti nella loro materica plasticità, altro non sono in ultima analisi che segni, destinati a restare incomprensibili se estrapolati dal tessuto delle relazioni mondane e della loro dinamica immanente: «Nessun segno particolare di cultura – ha scritto una volta – è fuori da un testo generale storico, e nessun testo generale storico o interpretazione di mondo è fuori dall’enigma generale dell’universo».

Nell’experimentum mundi di Fabio Mauri il fuori-testo non si dà se non come eccedenza, interrogazione radicale sul mistero dell’esistenza: su quell’«inverosimile» che è il nostro essere-nel-mondo, l’heideggeriano in-der-Welt-Sein. Per questo, mi diceva a volte con uno sguardo oscillante tra garbata ironia e ammirazione sincera, un artista doveva essere grato alla filosofia per il suo sforzo di conferire verosimiglianza all’inverosimile che è la vita. E tuttavia...

E tuttavia Fabio ha sempre accuratamente evitato di declinare il proprio talento metafisico neitermini di un’estetica: nella lucida consapevolezza che quel piano inclinato avrebbe comportato per il pensiero un’inevitabile caduta del coefficiente di radicalità. Per questa decisiva ragione, anziché porre mano a una «filosofia dell’arte», egli ha preferito scommettere sull’arte come filosofia. Se nella traccia rigorosa e smagliante del suo pensiero immanenza del mondo ed enigma del senso, mondanità e mistica, si tengono reciprocamente dando luogo a un campo di tensione costante, nella sua pratica artistica (l’arte non è per lui contemplazione ma azione) quella stessa tensione si risolve in una forma al contempo espressiva e straniante. Una forma per il cui tramite il sistema di segni in cui consiste il Testo del Mondo diviene – grazie a una procedura compositiva capace di gestire e combinare tecniche multiple – immagine dello statuto paradossale della normalità. Le convenzioni e i rituali del quotidiano vengono così ad assumere i tratti di familiar stranger, di familiare estraneità, assegnati dalla psicoanalisi freudiana alla figura del «perturbante».

Nello sguardo del Mauri artista «alto» e «basso», «vertici della Cultura» e «bassure» della vita d’ogni giorno, colte in dettagli minimi e apparentemente insignificanti, si tengono e si rispecchiano gli uni con gli altri dentro la congiuntura del presente: «Non si può essere incolti al puntodi amare solo cose di alta qualità». Difficile, senza tener conto di questa lapidaria osservazione, apprezzare la carica espressiva delle sue opere, ottenuta orchestrando una pluralità di materiali, tecniche e procedure in modo unico e irripetibile. La totalità del Mondo si dischiude con un procedimento non metaforico ma metonimico: transitando non dal tutto al dettaglio, ma dal dettaglio al tutto.

Giacomo Marramao (a destra) nella performance Che cosa è la filosofia. Heidegger e la questione tedesca. Concerto da tavolo, 1989.
Foto: Paolo Porto

Tutto ciò ha a che fare, ancora una volta, con una peculiare potenza e qualità dello sguardo, con una capacità di osservazione del reale che scardina il regime moderno della prospettiva privilegiando la carica energetica degli oggetti, che assurgono così a segni o emblemi di una costellazione dinamica del presente: indicatori mobili di un codice segreto della memoria, annidato nelle pieghe più intime dell’attualità. Discende di qui la pervicace passione di Fabio per l’esattezza: il rigore “filologico” rivolto al mondo degli oggetti e dei corpi (a testimonianza dell’intenso sodalizio giovanile con Pier Paolo Pasolini). E di qui anche la pignoleria quasi ossessiva con la quale egli persegue la perfezione tecnica delle sue macchine compositive, proiettive e cinetico-drammatiche (le sue celebri performance).

Del medesimo rigore partecipa un’altra procedura: il sapiente gioco di sottrazione in cui l’eccedenza dell’interrogazione sul Senso è espressa dal vuoto, dal bianco dei suoi proverbiali schermi. Mentre – sull’altro polo o versante della rappresentazione – l’immanenza del Mondo è resa, come si è visto, dalla saldatura tra “alto” e “basso”, al fine di cogliere il “cuore di tenebra” del Novecento non già come episodio di “barbarie” ma come tragedia della Cultura.

Il modo in cui il Mauri artista-filosofo punta a rimuovere la rimozione dell’orrore della Shoah chiamando in causa miti, emblemi e simboli della Kultur non ha riscontri nell’arte contemporanea: salvo la sola, vistosa eccezione rappresentata dall’opera di Anselm Kiefer. Ma, a differenza di Kiefer, che pure rielabora con analoga radicalità il retaggio della “catastrofe tedesca”, la tensione di Mauri si proietta al di là della congiuntura storico-culturale, per affrontare il tema metastorico della sottile linea d’ombra che intercorre tra le due dimensioni del bene e del male: “Il bene e il male parlano la stessa lingua. Solo il fine li distingue”.

Nell’esercizio dell’interrogazione radicale, le nostre traiettorie intellettuali e biografiche si sono a un certo punto incontrate, ritrovandosi in una certezza condivisa: che ciò che facciamo in vita riecheggia comunque nell’eternità.

Comunque…  Comunque ci incontravamo. Ma in forme e modi indecifrabili per entrambi: sia per un non-credente come me sia per un uomo di fede come Fabio, di cui nonposso fare a meno di ricordare un’altra proverbiale battuta: “Chi non trovasse l’infinito può telefonarmi a casa”.     Comunque, entrambi eravamo – siamo – consapevoli che le strettoie della libertà e della contingenza (con la miscela di ragione e passioni, pensieri e amori che le anima), il margine pericolosamente minimo concesso alla nostra esperienza, al nostro viaggio nel mondo, sono rappresentabili non con la linearità euclidea di un moto rettilineo uniforme, ma piuttosto come curve o ellissi destinate a ricomporsi nella misteriosa retta dell’eternità.

Malgrado le nostre differenze in materia di religione, penso che in fondo intendessimo il punto d’intersezione tra tempo ed eternità in modo non troppo diverso, se è vero che Fabio una volta ha scritto: “Una vita eterna non è lunga, è un istante senza tempo”.

Per questo, ogni volta che mi accade di pensare a Fabio, alle nostre conversazioni interminabili e alla quotidiana passione per le multiple forme dell’operare (artistico, letterario, filosofico), la sua immagine sorridente e pensosa non appartiene per me al passato.

Non preme alle mie spalle come un’ombra.

Ma è come se mi venisse incontro dal futuro.

NOTE
1.

Riprendo qui la traccia delle riflessioni da me svolte in due occasioni: le esequie di Fabio Mauri (Roma, Sant’Agnese in Agone, 22 maggio 2009) e l’incontro organizzato per il trigesimo della sua scomparsa (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 19 giugno 2009). Una versione diversa di questo testo è inclusa nel mio libro L’esperimento del mondo. Mistica e filosofia nell’arte di Fabio Mauri, Bollati Boringhieri, Torino 2018.