Fabio Mauri
“L'universo, come l'infinito, lo vediamo a pezzi”
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Selezione opere

Disegno e pittura sono le discipline a cui il giovane Mauri si dedica fin dagli esordi e che costituiscono le matrici di tutta la sua successiva ricerca artistica. Nei primi dipinti a olio e disegni su carta si nota la vicinanza alle Avanguardie Storiche, in particolare all’Espressionismo e ai Fauves. Questa iniziale produzione pittorica tenderà progressivamente all’astrazione fino ad approdare, nel 1957, al “grado zero” del primo Schermo-disegno.
Gli schermi di Mauri sono di due tipi: lo schermo-disegno, su carta, riprende il formato cinematografico e consiste in una cornice nera che, dipinta lungo i bordi di un foglio, individua un campo di proiezione; il secondo, di natura aggettante, si avvale di un telaio in legno che richiama la forma degli apparecchi televisivi dell’epoca, su cui è tesa una carta o, successivamente, un tessuto. 
Come scrive Carolyn Christov-Bakargiev, Mauri anticipa «un dibattito artistico, sociologico e filosofico attorno alla teoria della comunicazione che si svilupperà soprattutto dopo queste prime e precoci riflessioni, nel corso degli anni sessanta. L’opera è per Mauri, fin dagli esordi, un’opera di “secondo grado”, una meta-opera che parla dell’esperienza della realtà in un modo meta-reale, e vuole essere una decostruzione critica dei meccanismi di manipolazione del pensiero nonché un’esplorazione dell’identità del soggetto in un’epoca complessa di esperienze pre-determinate da rappresentazioni narrative, filmiche e fumettistiche e da tutti gli altri apparati ideologici contemporanei».
La tendenza dell’artista a utilizzare oggetti nella composizione di opere si manifesta già nei primi quadri che espongono entro cassetti e scatole di legno prodotti tipici della società dei consumi avvicinandosi a un’estetica d’impianto Neo-Dada. Le sculture di questo periodo si distinguono per l’utilizzo della luce elettrica che introduce il tema della fisicità del raggio e della proiezione come metafora del pensiero: è il caso delle Pile e dei Cinema a luce solida (1968), prodotte dalla galleria Mana Art Market di Roma e realizzate in pochi esemplari, tutti diversi tra loro.
Mauri fa il suo esordio nel mondo del teatro nel 1958 scrivendo e dirigendo, insieme a Franco Brusati, lo spettacolo Il Benessere prodotto dal teatro stabile di Roma e poi tradotto in francese con il titolo di Flora. Nel 1960 Mauri scrive la sua opera teatrale più significativa, LIsola, commedia Pop concepita come un collage di letteratura, teatro e fumetti andata in scena in anteprima a Spoleto nel 1964 e due anni dopo a Roma.
Le prime installazioni risalgono alla metà degli anni sessanta e si presentano come opere-ambienti che prevedono una partecipazione attiva dello spettatore. La prima in ordine di tempo, Foto di cinema come affresco (1964) – cappella contemporanea che presenta in luogo degli affreschi sacri i volti di Hollywood – precede di quattro anni Luna (1968) in cui il pubblico è invitato a sprofondare in un ambiente spaziale dalle pareti nere e il suolo fatto di particole di polistirolo bianco. L’opera, concepita per Il Teatro delle Mostre della Galleria La Tartaruga di Roma, fu successivamente esposta nel 1970 alla mostra Vitalità del Negativo e in molte altre sedi.
Nel 1971 Fabio Mauri debutta nel mondo della performance con le azioni Che cosa è il fascismo ed Ebrea inaugurando contestualmente il ciclo delle opere a base ideologica. A differenza della maggior parte delle performance dell’epoca, generalmente incentrate sul corpo e la figura dell’artista, quelle di Mauri si distinguono per un approccio fondamentalmente diverso, affrancato dal protagonismo dell’artista-performer, che rimane dietro le quinte a dirigere la rappresentazione. Questa caratteristica, influenzata dalla pregressa esperienza di Mauri come regista teatrale, è da leggersi principalmente come conseguenza di una ricerca pittorica tesa a scavalcare i limiti della rappresentazione ove l’artista, similmente al pittore, compone la scena rimanendone fuori: «Per me la performance è una logica evoluzione del quadro. È un collage con oggetti viventi». Fa eccezione, in questo senso, Il televisore che piange (1972), happening realizzato per la televisione nazionale italiana: l’azione, che arrivò nelle case di milioni di persone, consisteva in una sospensione improvvisa dei programmi televisivi durante la quale lo schermo diveniva bianco e in sottofondo si sentiva il pianto di un uomo.
Negli anni settanta prendono forma i cosiddetti “multipli politici” a cui seguono le “serie sociali” secondo una terminologia introdotta dall’artista stesso. Alla prima categoria appartengono le opere Vomitare sulla Grecia (1972), Der Politische Ventilator (1973) nonché Proust (1974) e L’anagrafe (1971), essendo questi ultimi opere uniche con progettualità di multiplo solo immaginata, coerentemente con le pratiche dell’Ufficio per l’Immaginazione Preventiva di cui Mauri all’epoca rivestiva il ruolo fittizio di direttore della sede di Rio de Janeiro.
A partire dalla metà degli anni settanta Mauri realizza una serie di opere che prevedono la proiezione di immagini statiche o in movimento su oggetti, ambienti e persone. Le riflessioni sullo schermo, iniziate negli anni cinquanta, si ampliano a comprendere tutta la macchina cinematografica che, nei tre elementi di proiettore-raggio-schermo, diventa, per Mauri, metafora del pensiero come nascita del significato. Scrive l'artista: «Nell’impatto tra immagine e bersaglio, il raggio (che “vede”, però “impone” forme proprie di intelligenza) rappresenta un verosimile modello di rapporto tra mente e mondo. La cui ricezione, rivelata su corpi e oggetti che, ospitandolo, ne interpretano il segnale, gli conferisce nuovo uso di simbolo, nuova metafora. Gli eventi che conseguono risultano di contenuto diverso e successivo, quello innanzitutto formale, dell’atto cui si assiste».
Diverse sono le opere allestite in modo da restituire l’idea di una stanza, come Warum ein Gedanke einen Raum verpestet? (1973), Linguaggio è guerra (1975), Manipolazione di cultura (1976) ed Entartete Kunst (1985). Spesso le installazioni di Mauri si pongono in dialogo con la storia del luogo in cui vengono esposte: ne sono un esempio Brunelleschi e noi (1977), realizzata nel chiostro della chiesa di Santa Maria Novella a Firenze, Umanesimo-disumanesimo (1980) che utilizza l’architettura fascista della fontana della stazione del capoluogo fiorentino e Quadreria (1999) concepita per Villa Medici a Roma.
Nel 1979 Mauri inizia ad insegnare Estetica della sperimentazione all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila affiancando alle lezioni teoriche dei laboratori duranti i quali dà vita, insieme agli studenti, alle grandi performance Gran Serata Futurista 1909-1930 (1980),  Che cosa è la filosofia. Heidegger e la questione tedesca. Concerto da tavolo (1989) e al re-enactment di Che cosa è il fascismo.
L’utilizzo di oggetti, spesso solo parzialmente modificati, come materia dell’arte è caratteristica di tutta l’opera di Mauri: «Gli oggetti acquisiti nei miei lavori sono consueti nella fenomenologia del mondo, eppure sono magneti di storia, la loro delazione storica è immediata», scrive l’artista. Il pantografo usato per le statue della Mole del Vittoriano di Roma trasformato in Macchina per forare acquerelli (1990), le valigie de Il Muro Occidentale o del Pianto (1993), gli oggetti e i suppellettili della mostra Ariano (1995) e quelli inquadrati sui quadri di Autobiografia come Teoria (1997) e Pic-nic o il buon soldato (1998), il mobile proveniente dal carcere di Rebibbia (2006), sono solo pochi esempi di una ricerca artistica basata sulla costante decifrazione-ricostruzione di quel tutto segnico che per Mauri è la realtà.
Negli anni duemila la parola scritta è protagonista di diverse opere dell’artista: dipinta su carta, stampata su moquette, scolpita sui muri, incisa negli oggetti. Nella sua ultima mostra personale, cinque zerbini di grandi dimensioni riportavano intagliate altrettante dichiarazioni che il pubblico era invitato a calpestare. La mostra, inaugurata due settimane dopo la morte dell’artista, è significativamente intitolata Etc. come riportato su un blocco di cemento intonacato esposto nella sala centrale della galleria.

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