LE MISURE DEL NON-UOMO. SULL'ESTETICA DEL RAZZISMO

18.04.2016

 

Die Vermessung des Unmenschen. Zur Ästhetik des Rassismus

(Le misure del non-uomo. Sull'estetica del razzismo)

13 maggio - 7 agosto 2016
Kunsthalle im Lipsiusbau, Dresda 
a cura di Wolfgang Scheppe 
 
Il termine Razzismo viene declinato quasi esclusivamente come invettiva, come un’offesa che non necessita di ulteriori
motivazioni, esaurendosi nella pronuncia laconica di un epiteto. Viene usato come insulto, ma in realtà ha alle spalle
una tradizione teorica che fu conseguenza di un abito mentale comune e socialmente condiviso.
La mostra “Le misure del non-uomo” tratta del rapporto tra la dimostrazione scientifica delle teorie razziste e l’immagine dello straniero usata nelle manifestazioni popolari denigratorie, tornate recentemente in auge. Alla base di entrambe v’è il postulato epistemologico positivista che teorizza che la (non) essenza di un individuo sia visibile e che lo straniero sia classificabile a partire dai suoi attributi esteriori. L’immagine assume dunque un ruolo fondamentale nella costruzione dei principi razzisti e proprio per questo è possibile parlare di una vera e propria estetica del pensiero razzista.
Attraverso gli allestimenti e il complesso dei pezzi in mostra si vuole portare il visitatore dentro il modus pensandi di un sostenitore delle suddette teorie al fine di palesare questa terribile aberrazione scientifica. Come disciplina teorica trainante della Rassenkunde (antropologia razziale), l’etnologia funse da fondamento ideologico degli stati nazionalisti che si andavano affermando nel 19mo secolo, in seno ai quali è fiorito lo sfruttamento delle colonie, adoperandosi a ricercare le generalità dei popoli la cui classificazione, di stampo gerarchico, si contraddistinse per l’orgoglio e la certezza della superiorità dell’osservatore nei confronti dell’osservato. Senza l’identificazione nazionalista in un Popolo con determinate caratteristiche, non si avrebbe infatti alcuna necessità di costruire un’Alterità avversa, definita a partire dalla convinzione che l’essenza di un uomo sia strettamente connessa al suo ambiente di vita e alle sue caratteristiche fisiche esteriori. In merito a questa assurdità emerge una balzana contraddizione: nella coscienza razzista si attribuisce ad un mero scherzo del destino quella stessa sudditanza che è essenziale ad ogni nazionalismo.
Il cuore del progetto-mostra è la presentazione dell’archivio delle immagini che Bernhard Struck - etnologo ed antropologo
di Dresda, nonché esponente esemplare del biologismo dominante del tempo e funzionario all’interno delle istituzioni razziste –
collezionò all’inizio del 20mo secolo, con l’aiuto del suo studente Herbert Bellmann. Il corpus delle immagini, per la prima volta studiato e presentato al pubblico, comprende un insieme di circa 20.000 schede d’archivio e si contraddistingue per l’uso esclusivo di immagini “mediate”: ritagli di giornale, periodici, prospetti e libri. In esso si specchia chiaramente l’immagine di un uomo dell’epoca della Repubblica di Weimar e del Nazionalsocialismo. La pretesa di sistematicità, in una spiegazione visiva del mondo attraverso l’ossessiva raccolta di immagini, pone al tempo stesso diversi punti di domanda sulla reale razionalità del metodo e sul valore conoscitivo di costrutti visivi sociali votati alla propaganda ideologica.
Con la stessa tematica si confronta Fabio Mauri (1926-2009), figura complessa di intellettuale, autore, editore, artista
nonché uno dei più importanti esponenti dell’avanguardia italiana del dopoguerra, che quest’anno viene presentato dalla Biennale di Venezia al pubblico internazionale in tutta la sua straordinaria portata. La mostra qui proposta vuole esporre, per la prima volta in Germania, le sedici tele del suo capolavoro Manipolazione di Cultura nel quale, attraverso l’uso di immagini di propaganda del partito Nazionalsocialista e di didascalie in lingua tedesca, analizza l’estetica del pensiero totalitario. Il rapporto con il testo tedesco crea una tensione tra il rappresentato e il rappresentante che fa dell’informazione visiva un atto politico.
Ulteriori elementi della mostra sono gli strumenti di misurazione antropometrica concepiti per la pratica assurda, che anche Struck utilizzava, della Craniometria, un tentativo di classificazione della razza a partire da dati empirici. L’enorme quantità di dati e diagrammi risultanti da questa prassi verrà esposto in quanto opera di una vita di Bernhard Struck. La stessa convinzione positivista e la stessa tensione verso un’assurda esaustività la si ritrova nella selezione di oggetti etnografici che Struck riportò con sé a Dresda dal suo viaggio di studio in Guinea-Bissau.
Un trittico video contenente sequenze di immagini del pioniere del cinema tedesco Arnold Fanck, inoltre, presenta i circoli viziosi della storia tedesca, in una tradizione della percezione razzista degli altri che sembra presentarsi ciclicamente. Infine sarà presente una scultura in gesso di Emmanuel Frémiet (1824-1910), parzialmente danneggiata, rappresentante un gorilla che rapisce una donna: riassume alla lettera l’immagine del non-uomo di cui si avvalgono gli odierni dimostranti in Sassonia contro gli immigrati, quando descrivono quegli uomini come scimmie. Sono appunto le stesse scimmie che, fino al 20mo secolo inoltrato, l’etnologia e l’antropologia esaminano ed affermano scientificamente come tappa evolutiva in continuità con il loro oggetto di studio, i “Primitivi”.

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